Il Pilone Romano


Monumento funerario del II secolo d.C. . Domina l'incantevole paesaggio sulla piana albenganese a nord e verso il mare e l'isola Gallinara ad est. Esso fu restaurato nel 1892 da Alfredo D'Andrade, che completò con eccessiva abbondanza per un monumento romano, tutto il paramento antico in piccoli quadrelli spaccati, inframezzati da cornici di mattoni che dividono i tre ordini architettonici della costruzione. Questa appartiene al tipo delle tombe a torre dette Pile fin dall'antichità, e consta di tre corpi leggermente rientranti, coronati in alto da un attico che formava due nicchie, con le statue dei defunti (la parte alta è stata demolita dai tedeschi nel 1944, ed il monumento è rimasto così mutilato di qualche metro). Sulla fronte principale, verso il mare, si apre una nicchia a volta, entro la quale esistono due loculi laterali destinati ad accogliere le urne cinerarie dei due personaggi a cui era dedicato il sepolcro, certo cittadini albingaunensi d'alto rango, proprietari della zona. Il Pilone, pur avendo subito un restauro al quanto criticabile e oggi anche

mutilato, costituisce il modello meglio conservato dei monumenti di questo tipo. Un altro simile, ridotto al solo corpo inferiore, esiste lungo la via Albenga-Garessio, la torre dei Seraceni presso Cisano sul Neva. 16

Posto sul margine scosceso della propaggine più orientale del Monte di San Martino, a breve distanza dell'anfiteatro romano e dalla via Iulia Augusta, il pilone è uno dei più antichi edifici romani rimasto in vista nei secoli. Venne identificato come monumento sepolcrale da D'Andrade allora direttore dell'Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti della Liguria e del Piemonte.


Il pilone appartiene alla categoria dei monumenti funerari diffusi dal I e gli inizi del II secolo nell'antico impero Romano.
Dalle fotografie eseguite prima dei lavori, e dalle relazioni di D'Andrade, si può arrivare alla conclusione che il restauro da lui fatto fu ricercato per essere il più possibile fedele all'originale: ricostruì e integrò il rudere con gli stessi materiali, identici sia dal punto di vista mineralogico che petrografico. Malte e blocchetti utilizzati avevano la stessa identica provenienza locale come i ciotoli fluviali, l'arenaria di quarzite e le sabbie del Centa.






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